Il seminatore

  1. “Che cos’è più importante la forza del seme o la qualità del terreno?”

Gettare il grano sull’asfalto della strada, lo sanno tutti che non serve a niente: non ci sono le condizioni per fare attecchire e crescere nessun seme, tantomeno se rotto, calpestato e distrutto.

Per “gettare” il buon seme da far germogliare, crescere e raccogliere a suo tempo, è necessario preparare bene il terreno, arandolo, fertilizzandolo e, poi aprire i solchi per interrare bene la semente ben selezionata per questa riproduzione.

Quando poi il seme germoglia ha bisogno di essere curato, liberato dalle erbe, sarchiato e…aspettato, fino al momento giusto della mietitura e, poi, altro percorso fino al pane in tavola.

Dunque, per arrivare all’ultimo stadio il seme deve essere accompagnato con giuste attenzioni, con competenza, con lavoro adatto, con attesa programmata dall’evoluzione dell’opera, con occhi vigilanti anche per prevenire difficoltà e prevedere le situazioni di interventi giusti e opportuni.

Tutto questo ce lo insegna la natura, ma anche l’esperienza e la conoscenza.

Gesù conosceva tutte queste attenzioni e le traduce in parabole non solo da applicare alla realtà agricola, ma anche alla realtà della vita, dello spirito, dei valori che fanno bene e buona ogni relazione umana ed ecologica.

 

  1. Facciamoci domande…importanti

– Tu hai qualche tua esperienza vissuta in cui non hai badato a prevedere, in modo pratico o simbolico, un “dopo”?

– Oppure non hai ottenuto né il 30% né tantomeno il 90%, perché?

– I cristiani, a volte, prendono tante iniziative, ma non tutto, non sempre riesce bene. Anzi, a volte falliscono.

Hai esperienze di questo genere? La causa era nel seme, nel terreno, nell’intenzione, nell’attenzione sia tua che di chi è stato coinvolto?

 

  1. Le parabole di Gesù

La parabola del seminare

Matteo 13,1-9 Lc 8:4-15

1Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9Chi ha orecchi intenda».

 

  1. Che cosa vuol dirci Gesù con questa parabola?

Ancora una volta ci facciamo la domanda e possiamo avere anche una risposta del perché Gesù parla in parabole.

Marco 4,10-12

10 Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. 11 Egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: 12 “Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati“».

Capiamo che il senso della parabola per la nostra vita dobbiamo scoprirlo in un altro modo che si intuisce dal linguaggio simbolico della “spiegazione” di Gesù.

Infatti con un po’ più di attenzione, riflettendo sul “contenuto” della parabola e sul perché e a chi Gesù parla in parabole, la nostra attenzione viene spostata sui diversi tipi di terreno. I terreni sono diversi; ciò significa che i risultati sono diversi non a causa del seme, ma a causa dei terreni.

È facile e spontanea la domanda: di fronte alla Parola di Dio (il seme) alcuni comprendono, altri no? Questo non dipende da un capriccio di Dio ma dalle disposizioni delle persone.

Ecco: dall’efficienza del seme l’attenzione si sposta alla disponibilità dei terreni.

Ma molta gente (cristiani) è solita dare la colpa a Dio o al destino di tutto quello che succede: “Dio avrebbe dovuto risparmiarmi la malattia di mia figlia. Dio doveva impedire questa pandemia! Quanti morti, quanto lavoro perso, quanti redditi azzerati, quanta sofferenza, quanta penitenza con queste quarantene, queste privazioni di libertà, di divertimento, di incontri notturni o di movida…!”

Queste domande hanno chiuso tutte le porte alle vere risposte che, con sapienza e onestà, si dovrebbero dare. Ma chi fa le cose, Dio o noi umani? Cos’è più importante la forza che sta nel seme o la qualità del terreno?

Nel vangelo di Marco 13,20 leggiamo: 20Se il Signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno scamperebbe; ma, a causa dei suoi eletti, egli ha abbreviato quei giorni.

 

  1. Si racconta

Napoleone all’assedio di Tolone

Quando Napoleone, proprio all’inizio della sua brillante carriera militare, prese parte, con altri ufficiali, all’assedio della città di Tolone (1793) consegnata agli inglesi dai realisti francesi, mostrò subito la sua capacità di osservazione e di manovra.

Infatti diede a vedere di conoscere meglio di qualsiasi altro ufficiale di Stato Maggiore, le fortificazioni della città e la postazione delle artiglierie avversarie.

Da ragazzo, tutte le volte che, andando o venendo dalla Corsica per i suoi studi in Francia, era passato da Tolone, si era interessato di quelle fortificazioni, aveva girato per il porto, per le alture; aveva presa, con la mente, la misura delle distanze, osservati i punti deboli del sistema, calcolato con la fantasia come e dove si potesse colpire, aggirare, penetrare…

Quel gioco di immaginazione gli servì mirabilmente pochi anni dopo!

Infatti, impadronitosi del colle dell’Eguilette che domina la baia, obbligò la flotta inglese a sgombrare la rada, per non farsi colpire dalle batterie incendiarie; la città si arrese quasi subito.

Il piccolo comandante còrso, con la faciloneria propria dei tempi rivoluzionari, da semplice ufficiale di artiglieria, fu promosso Generale di brigata. Così Napoleone gettò le prime basi della sua fortuna militare.