Di chi è la colpa?

Per colpa di chi i devastanti e funesti eventi della pandemia di coronavirus? Cosa abbiamo fatto di male per meritare questo castigo? È valida ancora e sempre la risposta di Gesù al cieco nato (Gv 9,1-41): di nessuno. Non sono un castigo le sventure, ma anche se lo fossero, non sta a noi esprimere giudizi su nessuno. Questo metodo per leggere anche questo tipo di segni dei tempi, non ha mai un risultato vero e buono. Perché?

Se è un castigo, per esempio, esploderebbe un’altra domanda ancora più inquietante: “Perché per colpa di uno o pochi deve subire le conseguenze dello stesso castigo anche chi è innocente? Il nessuno della risposta di Gesù ci aiuta e ci invita a non fissarci sulle cause dei mali che capitano a noi umanità globalizzata. Possiamo, dobbiamo, invece, essere certi che il buon Dio, che è sempre Padre amorevole e misericordioso di tutti, può fare scaturire del bene anche dagli avvenimenti non buoni.

Ripensando al cieco nato del vangelo, dalla cecità rinasce con la vista miracolosa la luce, la felicità, un nuovo senso del suo esistere e del suo credere in Gesù. “Credo, Signore, disse, e si prostrò davanti a lui”.

A noi, in questa situazione di pandemia, cosa dice l’episodio del cieco nato?

Scomodiamo sant’Agostino che ci spiega: “Dio essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male stesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene”. Noi lo stiamo vedendo già ora nel pieno della crisi, basta che ci sforziamo a guardare gli avvenimenti con meno superficialità del nostro istinto.

Scrive nel suo blog Richard Hendrick: “Sì c’è paura, sì c’è isolamento, sì c’è panico, sì c’è persino la morte, ma dicono a Whuan, dopo tanti anni di rumore puoi sentire di nuovo il canto degli uccelli. Dicono che dopo poche settimane di silenzio, il cielo non è più impregnato di smog ma blu e chiaro. Dicono che per le strade di Assisi le persone cantono nelle piazze vuote tenendo aperte le finestre, perché coloro che sono soli possano sentire i suoni delle famiglie che li circondano”.

Ecco abbiamo riscoperto la relazione sociale umana. La nostra società, infatti, da troppo tempo rassomiglia a un’auto lanciata a folle in una ripida discesa con i freni e le marce fuori uso; oppure a un sonnambulo che di notte, al buio, senza luna cammina su un’altissima terrazza senza sponde. Esilio della coscienza, aforisma di autore ignoto, meglio e più precisa definizione, spensieratezza o peggio illusione di onnipotenza.

Con stile troppo brusco ci ha sorpresi e svegliati il COVID 19; servirà a farci risvegliare con i piedi per terra? Ci accorgeremo che siamo fragili, mortali e forse anche tardi di mente e duri di cuore? Ci illuderemo ancora che solo col computer potremo risolvere tutti i problemi? Anche le malattie e la morte? È bastato un elemento microscopico della natura a richiamarci alla nostra realtà vera.

Un profeta della Bibbia, Osea, esorta il popolo di Israele a convertirsi e ritornare al Signore suo Dio, “poiché hai inciampato nella tua iniquità… ditegli: «togli ogni iniquità: accetta ciò che è bene e offriremo il frutto delle nostre labbra. Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli», non ci fideremo più delle nostre risorse, né chiameremo più Dio nostro le nostre povere risorse umane. Possiamo fare nostra questa implorazione umile e fiduciosa cambiando solo i nomi di chi o di ciò che riteniamo salvatori. “Solo un Dio può salvarci”, lo scriveva il filosofo Heidegger. Ma possiamo convincerci con un po’ di fede e di buon senso.

Padre Salvatore Mercorillo

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