Cose nuove e cose antiche

 

  1. Gesù racconta la parabola con il canone di linguaggio dell’A.T.

Xaviz Léon – Dufour (Parigi 1912-2007, teologo gesuita) ci aiuta a capire questa proposta che ci suggerisce il titolo e grande tema delle parabole di Gesù.

“Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la capacità recettiva diversa degli uditori o lettori. Perciò Gesù ama parlare in parabola che, pur donando una prima idea di quello che insegna, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese.

Il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vigna, il pastore, la semina…) mette gli ascoltatori (o lettori) sulla strada; ma il fondo dell’insegnamento dato sfugge loro. Le parabole sono allora un invito all’attenzione, ma anche un velo che nasconde la profondità del mistero a coloro che non possono o non vogliono penetrarlo interamente”.

Infatti anche Matteo (13, 10-17) registra una domanda rivolta al Maestro da parte dei suoi discepoli:

10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?». 11 Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12 Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 13 Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. 34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Gesù si è servito anche di azioni simboliche o “parabole attualizzate”.

Condividendo la mensa con i disprezzati o accogliendoli in casa sua, Gesù ha annunciato il tempo della misericordia e del perdono. Anche mediante le guarigioni, lavando loro i piedi, scrivendo col dito sulla sabbia nell’ episodio dell’adultera, e in molti altri gesti, Gesù ha comunicato un’idea, un aspetto del suo messaggio.

 

  1. Il fico sterile, maledetto

Marco 11,12-14

12La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame. 13E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. 14E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l’udirono.

Con questo gesto-parabola Gesù non maledice o condanna la sterilità del fico, ma una falsa religiosità tutta ostentazione e che non dà frutti. Infatti Marco annota che Gesù “ebbe fame” e si avvicinò all’albero di fico bello carico di foglie verdi ma senza frutti. Il gesto simbolico di maledizione del fico allude a una lamentazione del profeta Michea (7,1-2) in cui l’allusione familiare del fico si riferisce a Israele che il Signore rigetta perché non ha prodotto il frutto che si attendeva da lui.

 

  1. Facciamoci domande a proposito di apparenze senza sostanza/frutto

– Ostentare religiosità significa apparire, ma senza sostanza, senza valori esistenziali, senza pratica “religiosa” nella vita di tutti i giorni.

– Ostentare è fingere in pubblico atteggiamenti esemplari al fine di un vantaggio personale in termini di simpatia, di stima e di prestigio religioso e sociale. Gesù ci avverte che il fenomeno religioso sempre e ovunque è sottoposto al rischio di questa grave finzione, che è caricatura, ipocrisia sempre in cattedra (cfr. Mt 23,2)

– L’assidersi come maestri sulla cattedra di Mosè occupando “i primi posti nelle sinagoghe” (Mt 23, 2.6.7) e nelle chiese, “i posti d’onore nei conviti” (Mt 23,6), l’accesso ai salotti che contano; “imponendo fardelli che l’ipocrita neppure tocca con un dito (Mt 23,4), e “relazioni gerarchizzate” (Mt 23,8-10). “Stolti e ciechi” sentenzia Gesù (Mt 23,17). Dunque, quello era un fico maledetto. Ma non perché fico carico di foglie e non di frutti, ma albero di cui Gesù si è servito come “parabola” per farci capire quanto può essere malvagia una religiosità di facciata, o, peggio, malvagia e iniqua (Mt 23,25-28), carica di ipocrisia.

– Ogni ruolo e ogni compito nella Chiesa vanno letti a partire dallo sconvolgimento portato da Gesù che “ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno può togliergli”, ed è lì che ci chiede di raggiungerlo. Il posto per vedere bene se stessi e gli altri.

– Com’è la tua situazione? Alle volte anche chiedere agli altri come mi vedono, può essere – se accetto tutto con umiltà e sincerità – il segreto per essere veri e senza maschera.

 

  1. Si racconta

Parabola della vita

Ecco una ultima parabola della nostra vita.

“Due uomini camminano insieme per una strada. Uno di loro è convinto che conduca alla città celeste, l’altro invece che non conduca in nessun posto; ma dato che non c’è altra strada, essi viaggiano insieme.

Nessuno di loro ha mai percorso tale strada; per questo nessuno è capace di dire cosa troveranno ad ogni angolo. Durante il viaggio hanno momenti facili e gioiosi, e anche momenti duri e pericolosi.

Per tutto il tempo uno di loro pensa al viaggio come un pellegrinaggio alla città celeste. Interpreta i momenti piacevoli come un incoraggiamento e gli ostacoli come prove del suo proposito e lezioni di perseveranza, preparate dal re di quella città e destinate a fare di lui un abitante degno del posto dove arriverà.

L’altro, da parte sua, non crede a nulla di questo e considera il viaggio come una marcia inevitabile e senza scopo. Dal momento che non c’è scelta, egli gode del bene e sopporta il male. Per lui non esiste nessuna città celeste da raggiungere, non una finalità che dia un senso al loro viaggio: c’è solo la strada e la fortuna della strada nel buono e nel cattivo tempo…

E quando gireranno l’ultimo angolo, si vedrà che uno ha avuto ragione per tutto il tempo, l’altro sempre torto”.

È possibile risolvere questo dubbio?