
esempi simbolici e riferimenti significativi e fortissimi
Arnaldo Cànepa (1882 – 1966)
Arnaldo Romolo Pio Cànepa, servo di Dio e sulla dirittura di arrivo per la canonizzazione, è un laico dalla personalità poliedrica: cultura ricca quanto basta, anche se, in parte, autodidatta, carattere deciso e forte, animo sensibile, vita condotta in una linea severa, essenziale, pratica, intuito aperto e profetico. Prima organizzatore, poi animatore di alcuni oratori e circoli giovanili in decadenza, promuove l’istituzione della “Prima Opera Sìnite parvulos” (1941) che si trasformerà in Centro Oratori Romani (1944/45) di cui Cànepa è fondatore a tutti gli effetti. Cànepa spende la propria vita per e negli oratori, per e con i fanciulli, così, di conseguenza si pone il problema della formulazione di una linea di formazione ben precisa nella metodologia e nei contenuti.
Linee metodologiche degli oratori C.O.R.
I quattro pilastri per gli educatori-catechisti:
- amore di Dio: coscienza di lavorare per amor di Dio e al servizio di Dio;
- amore del prossimo: amore di misericordia;
- devozione alla Madonna: è da Lei che ci vengono tutte le grazie;
- sottomissione all’autorità ecclesiastica: un oratorio che volesse escludere questo pilastro, sarebbe come un edificio senza fondamento.
I quattro binari per la vita dell’oratorio:
- attività festiva;
- attività quotidiana;
- attività mensile;
- attività ricreativa.
All’interno di ognuno di questi quattro binari troviamo quattro momenti fondamentali per la vita di gruppo: la preghiera, la catechesi, l’attività pratica, il gioco.
“Arnaldo Cànepa, celibe per vocazione, voleva che l’attività degli oratori fosse permeata da un impegno di tipo religioso assunto formalmente dai catechisti, davanti a tutta la comunità parrocchiale, con una solenne «promessa» allorquando entravano (questo avviene tutt’ora) a far parte del C.O.R.”[1].
Don Lorenzo Milani (1923 – 1967)
Fece oratorio?

Don Milani persona, prete, educatore, politico… è tutto ancora da capire, da sdoganare. Apostolo dei poveri, uomo di azione, rivoluzionario anticipatore del clima post-conciliare, denunciatore dello sfruttamento del lavoro minorile, del classismo della scuola, difensore dell’obiezione di coscienza, critico dei metodi vecchi e sorpassati della pastorale ufficiale, questo prete, fatto così, può avere una certa consonanza con don Bosco o con qualsiasi educatore di oratorio?
Ecco, per una visione d’insieme, un elenco sintetico che va a comporre un parallelismo armonioso che non ha bisogno di ulteriori commenti:
- don Milani è prete, come don Bosco;
- don Milani sceglie gli ultimi;
- don Milani si impegna per il bene degli altri con e per carità;
- la sua attività educativa è relazione interpersonale profonda e accogliente, forte e amorosa, presente e accompagnamento oltre la scuola e l’età scolare;
- ha una concezione preventiva dell’educazione, che punta sulle potenzialità positive delle persone;
- per don Milani la cultura e l’istruzione devono abilitare le persone a vivere da protagoniste, in una prospettiva di mondialità umana e cristiana, aperta al cambio e a una civiltà degna dell’uomo.
Il tipo di oratorio che don Milani gestiva a Barbiana, borgata del Mugello, più che diverso è simbolico, profetico. Quella esperienza di scuola a tempo pieno, non si è chiusa con la scomparsa del prete che sapeva leggere e insegnava a leggere i segni dei tempi, ma brilla ancora come punto di riferimento per dar risposte anche agli oratori dei nostri tempi che si pongono interrogativi, che avanzano, forse, perplessità, che non hanno un volto e un chiaro profilo. Barbiana oratorio, dunque?
La speranza di don Lorenzo Milani era che i giovani di cui era maestro si accorgessero che le sue “mani consacrate hanno il potere di cancellare tutta una brutta vita passata e di indirizzare a un’altra tutta diversa”[2].
Di istruzione, si preoccupava, don Milani.
L’ignoranza, infatti, è sempre una povertà e causa di discriminazioni sociali e di superficialità religiose.
“Un quinto della sua istruzione”, scrive, “è direttamente religiosa e i quattro quinti non direttamente religiosi, ma però tutt’altro che irreligiosi”.[3]
“Domani invece, quando la scuola avrà riportato alla luce quel volto umano e quella immagine divina che oggi è seppellita sotto secoli di chiusura ermetica, quando saranno miei fratelli non per un rettorico senso di solidarietà umana, ma per una reale comunanza di interessi e di linguaggio, allora smetterò di far scuola e darò loro solo Dottrina e Sacramenti. Per ora questa attività direttamente sacerdotale mi è preclusa dall’abisso di dislivello umano e perciò non mi sento parroco che nel far scuola”[4].
Chiudiamo questa esemplificativa documentazione, fatta più come provocazione all’approfondimento che a volersi per forza convincere che don Lorenzo Milani fu un vero e profetico maestro educatore di oratorio, con una testimonianza di Ferruccio Francioni (meccanico che frequentò la scuola-oratorio di don Milani fin dal suo arrivo in parrocchia di S. Donato) che ci sa di profetica indicazione metodologica in questa nostra contemporaneità culturale: “Una delle prime cose che fece fu di cercare i ragazzini della parrocchia. In sella a quel suo carretto di bicicletta andò in giro prorpio casa per casa. Me lo ricordo come se fosse ora. Dopo pochissimo tempo che era qui, li conosceva tutti i ragazzi.
I genitori erano ben lieti di mandare i figli in canonica: avrebbero fatto un po’ di lezioni per la scuola, oltre alla dottrina: e si sarebbero baloccati sotto occhi vigili, invece di starsene «a strasciconi per la strada»”[5].

Il malinteso
Ai tempi di don Bosco e anche ai nostri tempi, la formula educativa dell’oratorio: dottrina, gioco, preghiera… risultava più lenta e i risultati non immediatamente controllabili e verificabili. Forse si trattava di un metodo anche meno profondo, sotto il profilo dei contenuti dottrinali. Forse, a un certo punto, non si è saputo leggere un certo trapasso culturale, non si è realizzata la contemporaneità educativa e, quindi, potremmo anche azzardare l’ipotesi che proprio per questo è cominciato a verificarsi il fenomeno di abbandono dell’oratorio come luogo di formazione; prima da parte dei pastori, poi da parte dei ragazzi. Gli oratori, allora, servivano, infatti, quasi esclusivamente a questa pratica scolastica di indottrinamento, finalizzato alla sacramentalizzazione, su cui si concentrarono le forze pastorali. Ma dopo il sacramento della cresima si verificava il fuggi fuggi generale da ogni pratica religiosa. Questo non è fenomeno di altri tempi, ma non sempre se ne è saputa fare una lettura antropologica esauriente e con reimpostazioni metodologiche educative adeguate e moderne.
Tuttavia dalle radici lontane e dalle radici vicine a noi arrivano i messaggi più indicativi e costruttivi, per rivedere il presente come logica crescita, sulle tradizioni ispirate del passato recente, per proiettarsi, così, con verità, continuità e coerenza verso il futuro di una realtà oratoriana a misura di persona-ragazzo, persona-giovane dei nostri tempi. Don Bosco, Cànepa, don Milani. Sono solo esempi simbolici ma riferimenti significativi e fortissimi.
Se un oratorio deve essere oratorio sul serio, deve possedere le connotazioni che ci tramandano questi grandi maestri. Diversamente, si potrebbe pensare a una meschina strumentalizzazione della denominazione oratorio per fruire di foraggiamenti consentiti dalla legge e rabberciare progetti di riempimento non educativi e non rispondenti ai veri bisogni dei fruitori.
Tratto da Salvatore Mercorillo, è ora…torio!, capire il presente, progettare il futuro, aprirsi all’infinito, Ed. Elledici
____________
[1] P. CASTRO – D. SPADA – P. MISSORI, Arnaldo Cànepa, Paoline, Milano 1997, pag 62.
[2] Cfr. Esperienze Pastorali, pag. 240.
[3] Ibidem, pagg. 48-49.
[4] Ibidem, pagg. 200-201.
[5] N. FALLACI, Vita del prete Lorenzo Milani, Rizzoli, Milano 2000, p. 122.