Don Giovanni Bosco

(1815-1888)

La persona: “onesto cittadino e buon cristiano”

Era ed è il principio motore degli oratori di don Bosco. Dottrina cristiana, gioco, preghiera, ricerca del senso della vita, educazione al senso critico, vita sacramentale, servizio caritativo costituiscono il materiale costruttivo della persona e della personalità attraverso il metodo dell’esperienza e della spontaneità. Un cammino di crescita forse più lento, ma indubbiamente più forte perché porta a risposte razionali e decisioni più coerenti e più mature.

 

L’oratorio

  1. L’oratorio deve essere una struttura flessibile di aggancio e di aggregazione; mediazione tra Chiesa, società e fasce giovanili ai margini delle istituzioni ecclesiali e civili e prive di “accompagnamento” educativo. “Subito”, una parola magica pronunciata da don Bosco in quel primo incontro con Bartolomeo Garelli, in quella sagrestia da cui era stato cacciato via dal sacrista perché non sapeva servir messa… “Chiamatelo subito – intimò don Bosco – è un mio amico ho bisogno di parlare con lui”. Fare qualcosa subito, perché i ragazzi non possono permettersi il lusso di aspettare.

“Subito” sta per pronto intervento… per “preparare un futuro diverso”. “La forza che noi abbiamo è una forza morale – scriveva don Bosco nelle Memorie – a differenza dello Stato, il quale non sa che comandare e punire, noi parliamo principalmente al cuore della gioventù ” [1].

 

  1. Il fondamento della formazione educativa è la religione. Ma la formazione umana e la formazione cristiana costituiscano un tutt’uno come progetto educativo che ha il trascendente come punto più sublime: “far passare – diceva don Bosco – Iddio nel cuore dei giovani non solo per la porta della Chiesa, ma della scuola e dell’officina” [2].

 

  1. L’oratorio deve essere aperto a tutto il territorio; in modo particolare ai soggetti (giovani) del disagio, a rischio, soggetti deboli. È partendo dalla presenza e dalle caratteristiche di questi giovani che viene elaborato un progetto educativo adatto.

“Quelli però che sono poveri, più abbandonati, e i più ignoranti sono di preferenza accolti e coltivati, perché hanno maggior bisogno di assistenza per tenersi nella vita dell’eterna salute. Così mentre vi ha chi lodevolmente si adopera per diffonder gli scientifici lumi, per far progredire le arti, per prosperare le industrie e per educare i giovani agiati nei collegi e nei licei, nel modesto Oratorio di San Francesco di Sales si compartisce largamente l’istruzione religiosa e civile a coloro che, quantunque siano stati meno favoriti dalla fortuna, hanno pure la forza ed il desiderio d’essere utili a se medesimi, alle loro famiglie e al paese”.[3]

 

  1. Il progetto educativo, dunque, deve rispondere a tutte le domande legittime di quei ragazzi e sviluppare tutte le espressioni e le attività compatibili con i tempi, i luoghi e le risorse.

“La festa è tutta consacrata ad assistere i miei giovani; lungo la settimana andava in mezzo ai loro lavori nelle officine, nelle fabbriche. Tal cosa produceva grandi consolazioni ai giovanetti, che vedevano un amico prendersi cura di loro; faceva piacere ai padroni, che tenevano volentieri sotto la loro disciplina giovinetti assistiti lungo la settimana, e più nei giorni festivi, che sono giorni di maggior pericolo. Ogni sabato mi recava nelle carceri colle saccocce pieni ora di tabacco, ora di frutti, ora di pagnottelle, sempre nell’oggetto di coltivare i giovanetti cha avessero la disgrazia di essere colà condotti, assisterli, rendermeli amici, e così eccitati di venire all’Oratorio, quando avessero la buona ventura di uscire dal luogo di punizione” [4].

 

  1. Il tempo libero dal bisogno e dal lavoro deve essere occupato da attività creative e di protagonismo straordinario che aiutino il giovane a dare valore alla vita ordinaria di tutti i giorni.

“Persuadetevi dunque, o miei cari, che l’uomo è nato per il lavoro, e quando desiste da esso è fuor del suo centro e corre gran rischio di offendere il Signore (…) Non intendo però che vi occupiate dal mattino alla sera senza nessun sollievo: vi voglio bene e vi concedo volentieri quei divertimenti che non sono peccati. Tuttavia non posso (fare) a meno di raccomandarvi di preferenza quelle cose che, mentre servono di ricreazione, possono recarvi qualche utilità” [5].

 

  1. Tutto il progetto educativo è sulla linea della prevenzione, ma diventa efficace solo se l’amorevolezza degli educatori è una logica emanazione di uno stile di vita liberamente e coscientemente scelto.

“L’amorevolezza la si deve esprimere nelle parole, nei gesti e persino nell’espressione del volto e degli occhi… Ed è importante che i giovani non solo siano amati ma che abbiano coscienza di essere amati…” [6].

 

Un oratorio fuori schema

Don Bosco aveva attinto alle esperienze degli oratori milanesi, bresciani, a quelli romani di san Filippo Neri. Aveva camminato sulla linea tracciata a Torino da don Cocchi. Ma aveva marchiato l’opera specialmente con la sua personalità. L’oratorio era diventato nelle sue mani un’opera originale, diversa da ogni altra. Possiamo tentare un elenco (anche se incompleto e inadeguato) delle caratteristiche boschiane. Gli oratori tradizionali erano parrocchiali. Don Bosco aveva creato un oratorio che superava l’istituzione della parrocchia, che diventava la parrocchia dei giovani senza parrocchia, come la chiamerà l’Arcivescovo Fransoni. La presenza del prete era ispirata a una amorevolezza seria, che moderava l’allegria e diffidava del chiasso. Don Bosco inaugurò l’amorevolezza allegra, in cui era il prete stesso che alimentava i giochi chiassosi e lo scatenamento della gioia. Gli oratori tradizionali erano esclusivamente festivi, e spesso riducevano l’incontro con i giovani a due-tre ore del pomeriggio domenicale. Don Bosco allarga l’incontro con i ragazzi a tutto il giorno di festa, innanzitutto. Poi vi ingloba tutta la settimana con le scuole e gli incontri sul posto di lavoro. I ragazzi che si recano a un oratorio normale, vanno in una parrocchia, si ritrovano in una chiesa ben determinata. Favoriti paradossalmente dalle migrazioni continue, i ragazzi dell’oratorio di san Francesco di Sales, vanno a cercare don Bosco, a passare la giornata con lui. Il centro dell’oratorio non è l’istituzione parrocchia-chiesa, ma la persona di don Bosco, la sua presenza continua, stimolante. Il rapporto (diremmo con una frase di oggi) non è istituzionale, ma personale. Gli altri oratori selezionano i ragazzi migliori. Sono i genitori che li presentano, che garantiscono della loro buona condotta. Don Bosco, siamo tentati di dire, seleziona a rovescio. Comincia dai giovani ex-carcerati che non sanno dove trovare un amico. Continua con i piccoli muratori che hanno la famiglia lontana. I ragazzi abbandonati e pericolanti rimangono il nucleo di questo oratorio con le porte aperte a tutti. Evidentemente don Bosco dovette esigere dai suoi ragazzi un minimo di disponibilità, di collaborazione. Non poté assorbire i teppisti, né gli sbandati che non vollero mai entrare in una chiesa. Eppure don Bosco continuò a guardare anche a loro, a guadagnarseli a uno a uno, o almeno a tentare, con successi e fallimenti [7].

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[1]      Memorie biografiche, vol. V, pag 225.
[2]      Ibidem.
[3]      G. SONETTI, Cinque lustri di storia dell’oratorio salesiano fondato dal Sac. D. Giovanni Bosco. Tipografia Salesiana, Torino 1982.
[4]      Memorie biografiche, op. cit.
[5]      Ibidem.
[6]      Ibidem.
[7]      T. BOSCO, Don Bosco una biografia nuova, LDC, Torino 1979, pag 139.

Tratto da Salvatore Mercorillo, è ora…torio!, capire il presente, progettare il futuro, aprirsi all’infinito, Ed. Elledici

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